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Noi ci siamo! Restiamo uniti da lontano – riflessioni in un tempo sospeso

Carissimi/e,
nonostante l’abbattimento che stiamo vivendo in questo periodo di crisi così dolorosa e spiazzante, è forse opportuno cogliere i suggerimenti di tutti coloro che invitano a sfruttare questo “tempo sospeso” per non perdere l’occasione di riflettere in profondità su quanto la situazione attuale può insegnarci, per costruire un
futuro diverso. Ma siamo certi che la nostra società e il nostro mondo saranno diversi dopo il coronavirus? E se sì, diversi come? O non accadrà, forse, che, scongiurati i pericoli (almeno quelli peggiori) e pianti i defunti, tutto ripartirà con le stesse logiche, gli stessi paradigmi economici e politici di prima?

Pur consapevole di non essere in una perfetta condizione di lucidità, di equilibrio e di serenità interiore, ma piuttosto di fragilità e di smarrimento, provo a buttare giù riflessioni random, rispolverando miei vecchi cavalli di battaglia. Credo infatti che questa crisi imponga di riprendere e rielaborare i temi che da tempo coinvolgono
la nostra comunità: è vero che ne abbiamo già parlato diffusamente, ma forse in questa fase le nostre convinzioni e le nostre prassi potranno risultare più concrete, percorribili, aderenti alla realtà e incontrare più accoglienza e più attenzione anche da chi le ha sempre snobbate, contrastate, derise o guardate con indulgente indifferenza. Forse, nel prossimo futuro, potremo portare un contributo più efficace e incisivo per generare quelle trasformazioni che – ora più che mai – mi appaiono indispensabili e urgenti.
Il primo pensiero che mi viene in mente è che la competitività, uno dei pilastri che reggono le società e le economie mondiali, ha svelato il suo vero volto, che è terribile, pericoloso e distruttivo. Ora dovrebbe risultare chiaro (a tutti?) che soltanto la cooperazione e la solidarietà possono garantire un futuro al Pianeta
Terra e ai suoi abitatori (a tutti i suoi abitatori!). L’economia globalizzata – che tanti gruppi e movimenti hanno contestato in tempi non sospetti, quando
imperava la narrazione delle sue “magnifiche sorti e progressive”, che avrebbero portato benessere a tutti i popoli – si è rivelata per quello che in effetti è: un’economia predatoria nei confronti di gran parte dell’umanità e della natura. E un grande inganno: che fine ha fatto la libera circolazione delle merci, principio fondante dell’economia di mercato globalizzata? E’ bastato il virus per far sì che molti Paesi tentassero in ogni modo di tenersi le proprie merci per garantire la sicurezza dei propri cittadini. E allora, coloro che da tempo parlano di sovranità alimentare, di rilocalizzazione dell’economia, di sviluppo della sostenibilità e non di sostenibilità dello sviluppo, di abbandono della mitologia della crescita infinita in un Pianeta finito, tutti costoro sono ancora da considerare degli ingenui e dei retrogradi, nemici del progresso?
Adesso, è forse il caso di rileggere con occhi nuovi le “otto erre” di Serge Latouche, quello che lui definisce il “circolo virtuoso della decrescita”:
RI-VALUTARE, cioè concepire una società fondata su valori diversi: la cooperazione, il rispetto della natura, la solidarietà, la socialità. Non risulta forse chiaro e lampante da quanto ci sta succedendo che è indispensabile ri-valutare, porre altri valori alla base delle nostre società? Occorre “reincorporare l’economico nel sociale”, rendendosi conto che c’è una “legge” superiore alla legge economica, e questa “legge” non può essere che la società, con i suoi valori di relazionalità, solidarietà, uguaglianza, tutela dei diritti e adempimento dei doveri. Occorre “decolonizzare il nostro immaginario”, sin qui bombardato dai messaggi pervasivi della signoria dell’”economico” e di un (presunto) benessere (da difendere con le unghie e con i denti, quando pensiamo che sia minacciato) Tutto questo, appunto, per ri-valutare, per rivedere le nostre priorità, per mettere al centro quello che è veramente essenziale: i valori che umanizzano la nostra vita e la vita degli altri.
RI-CONCETTUALIZZARE: cambiati i valori, devono cambiare anche i concetti, i modelli e le prassi. Ha ancora senso parlare di consumismo, di crescita infinita, di massimizzazione del profitto, di delocalizzazione selvaggia alla ricerca dei costi più bassi possibili, di appropriazione delle risorse da  utilizzare senza alcun limite e senza alcuna seria valutazione delle conseguenze (ambientali, climatiche, sociali)? Come ha sottolineato in questi giorni don Corazzina, prete bresciano, in
conseguenza del modello di economia che ha sin qui dominato, noi italiani siamo in grado di produrre senza problemi bombe, armi, carrarmati, esplosivi, navi ed elicotteri da guerra, ma non siamo in grado di produrre nella quantità necessaria e con la dovuta urgenza le mascherine e i disinfettanti da fornire in fretta a ospedali, medici, infermieri, operatori delle ambulanze. Questo, perché la competitività e l’esasperata divisione internazionale del lavoro hanno fatto sì che quei presidi, di basso contenuto tecnologico, sia conveniente produrli nei Paesi a più basso costo della manodopera.
RI-STRUTTURARE: cambiato il software (valori, concetti, modelli), occorre cambiare anche l’hardware: le nostre strutture sociali ed economiche, le nostre città, la nostra viabilità, i nostri impianti energetici, le nostre industrie.
RI-LOCALIZZARE: occorre ri-localizzare (per tutto quanto possibile) l’economia, ma in comunità aperte, partecipate e accoglienti. Sin qui abbiamo lasciato piena libertà di circolazione alle merci, alzando muri alla circolazione di categorie di persone considerate “non gradite” (in poche parole, i poveri). Ora che anche la libera circolazione delle merci è in forte discussione, è forse sbagliato ripensare al nostro modello produttivo? Per spuntare costi del lavoro inferiori (sfruttando i lavoratori
dei Paesi poveri) e per stare al passo con la competitività dei concorrenti, spostiamo produzioni che fino a poco tempo fa facevamo noi e così inquiniamo (trasportando merci in giro per il pianeta e sfruttando normative ambientali più blande di quelle vigenti nei nostri Paesi), contribuiamo al riscaldamento globale, provochiamo drammi sociali (disoccupazione, impoverimento, migrazione di massa). E tutto questo per essere competitivi, per non perdere quote di mercato (o conquistarne di nuove), per garantire profitti sempre maggiori agli investitori. Il caffè dobbiamo importarlo dall’Africa e dall’America Latina, ma ha senso importare i fagiolini dall’Egitto? Per non parlare della piena libertà di circolazione dei capitali e dell’enorme potere dei mercati finanziari, che hanno provocato (e continuano
a provocare) sconquassi e squilibri economici e sociali in tanti Paesi: una vera guerra con quell’”arma non convenzionale” che è il denaro.
RI-DISTRIBUIRE: dobbiamo far decrescere le economie dei Paesi del Nord, per far sì che i Paesi poveri possano non tanto crescere, ma vivere dignitosamente. Ora che lo ha detto Papa Francesco (e non solo quei comunisti dei sostenitori della decrescita), molte persone hanno dato del comunista al Papa, senza porsi nemmeno qualche salutare dubbio, nella convinzione incrollabile che a questo sistema “there is no alternative”.
RI-DURRE: dobbiamo ridurre l’iperproduzione e l’iperconsumo; azzerare gli sprechi (di cibo, di energia); consumare per vivere e non vivere per consumare; recuperare il valore del tempo, lavorando meno per lavorare tutti e per vivere meglio e restituendo spazio alle cose essenziali della vita, che non hanno prezzo e non si comprano sul mercato, ma che hanno un grande valore umano, spirituale e sociale. Questa crisi ce lo insegnerà? Lo capiremo?
RI-UTILIZZARE: dobbiamo eliminare la pratica dissennata dell’obsolescenza dei prodotti (sia quella programmata, sia quella percepita); azzerare lo spreco di risorse, producendo beni durevoli e ritornando alla possibilità di ripararli; favorire il riutilizzo dei beni quando non ci servono più (la festa del baratto, anzi del dono!).
RI-CICLARE: quando un bene non si può più né riparare né riutilizzare, occorre riciclare per tutto quanto possibile i materiali di cui è composto.
La propaganda di questi ultimi tempi: credersi “padroni a casa nostra”; chiudere i confini; affermare che “prima veniamo noi”; vendere a buon mercato certezze sicuritarie per acquisire consenso, rimuovendo la  cruda realtà della nostra vita che è fatta di precarietà e di fragilità; selezionare gli esseri umani, stabilendo che non tutti possono beneficiare degli stessi diritti …. che succederà di tutto questo? finirà definitivamente? cambieremo radicalmente o – più impauriti di prima – ci chiuderemo ancora di più nel nostro fortino, dimentichi che soltanto stando insieme possiamo essere persone umane?

Ora provo a venire a noi, a quel “di più” che questa drammatica situazione ci chiama a fare. Credo che sia sempre più chiaro che dobbiamo costruire un’”alleanza” e una “condivisione di nuovi percorsi” tra soggetti impegnati in diversi ambiti: mi vengono in mente la tutela dell’ambiente e la lotta contro i cambiamenti climatici, l’accoglienza dei migranti e l’inclusione sociale, la cooperazione internazionale e la giustizia Nord – Sud, la tutela della pace e la promozione della difesa disarmata, la lotta contro le mafie e la criminalità organizzata, l’educazione alla cittadinanza globale (che ha già subito e rischia di subire un colpo mortale, con le frontiere chiuse, i sovranismi e gli egoismi nazionali che ritornano, ecc. …). Insomma, oggi più che mai credo che sia decisivo provare a costruire un movimento ampio e plurale, che testimoni e operi con forza nella direzione della condivisione, della solidarietà e della giustizia (a tutti i livelli). E questo credo che possa nascere da un’interazione virtuosa tra istituzioni e società civile: forse questo è un momento abbastanza favorevole per ritentare questa strada, confidando che possa portare frutti migliori rispetto a quelli che si sono prodotti negli ultimi anni. Questa crisi farà capire che “un mondo diverso è necessario e che soltanto insieme lo renderemo possibile” o sarà soltanto l’ennesima illusione?

“Mi vuoi dire caro Sancho che dovrei tirami indietro, perché il Male ed il Potere hanno un aspetto così tetro? Dovrei anche rinunciare ad un po’ di dignità, farmi umile e accettare che sia questa la Realtà? Il Potere è l’immondizia della storia degli umani e anche se siamo soltanto due romantici rottami sputeremo il cuore in faccia all’ingiustizia giorno e notte, siamo i grandi della Mancha, Sancho Panza e Don Chisciotte”
(Francesco Guccini, Don Chisciotte – Emi 2000).

“Gli antichi, volendo far rifulgere nel mondo la virtù luminosa, prima ordinavano il loro Stato; volendo ordinare il loro Stato, prima regolavano la loro famiglia; volendo regolare la loro famiglia, prima perfezionavano la loro persona; volendo perfezionare la loro persona, prima correggevano il loro cuore; volendo correggere il loro cuore, prima rendevano sinceri i loro pensieri; volendo rendere sinceri i loro pensieri, prima ampliavano al massimo la loro conoscenza. Ampliare al massimo la conoscenza consiste nell’investigare a fondo i principi delle cose”.
(Ta Hsueh, opera cinese).

“Non preoccupatevi troppo del cibo che vi serve per vivere o del vestito che vi serve per coprirvi. La vita infatti è più importante del cibo e il corpo è più importante del vestito (…). Non abbiate paura, piccolo gregge, perché il Padre vostro ha voluto darvi il suo Regno. Vendete quel che possedete e il denaro datelo ai poveri: procuratevi ricchezze che non si consumano, un tesoro sicuro in cielo. Là, i ladri non possono arrivare e la ruggine non lo può distruggere. Perché, dove sono le vostre ricchezze, là c’è anche il vostro cuore. (Vangelo di Luca, cap. 12).

Stefano Carati

Presidente di Amici dei Popoli Ong